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Sa Burra il tappeto tipico di Gadoni.
Gadoni: inverni rigidi, freddo, neve e la necessità di proteggersi.
Nasce così la capacità delle “donne laboriosissime”, come dice l’Angius-Casalis, del paese barbaricino di sedersi nelle loro case, riscaldate da un piccolo fuoco centrale e dare vita a un capolavoro rimasto immutato nel tempo: Sa Burra.
Tutta la vita delle donne sarde, specie a Gadoni, era contrassegnata da un susseguirsi di rituali arcaici, un insieme di fede e superstizione. Sì, la fede. Era parte integrante della vita comunitaria di Gadoni, tutto veniva fatto in nome di Dio, tutto veniva svolto secondo precise regole dettate dalle credenze popolari che, col tempo, venivano codificate dalla chiesa.
Stessa sorte probabilmente è toccata a “sa burra” e ai suoi stretti collegamenti con la Bibbia.La Bibbia, il sacro libro della religione Cristana,  la fusione di racconti e leggende che giunge fino a noi quasi intatta nella sua forma e nelle sue pagine. Le pagine, ecco, quelle sono importanti per scoprire chi siamo. Nel libro dei Re, ci viene raccontata la storia di due donne, le quali presentavano entrambe la richiesta di maternità di un bambino. Il monarca, dunque, trovò come unica soluzione quella di dividerlo, provocando il dolore della vera madre e la soddisfazione dell’ingannatrice.  Dagli scritti di Ilaria Muggianu Scanu in un noto sito internet si evince che il nostro tappeto abbia un forte legame con la storia narrata nella Bibbia.Paradossalmente il tappeto è visto come il bambino: veniva dato in dote dalla madre al figlio primogenito come corredo per il suo fidanzamento e qualora questo amore fosse naufragato, il destino del prezioso manufatto sarebbe stato quello di essere diviso.

Se si dovesse chiedere ai gadonesi cosa sia “sa burra” ovviamente saprebbero tutti rispondere che si tratta del tappeto tipico del loro paese, quello che sta nella sala da pranzo oppure appeso nelle finestre e nei balconi durante le processioni solenni. Ebbene, la storia del tappeto è abbastanza lunga e si perde nella notte dei tempi, si sa con certezza però che questo prodotto artigianale non nasce certo come elemento d’arredo ma per una vera e propria esigenza di doversi coprire dal freddo pungente nelle gelide notti invernali.Ovviamente, essendo un manufatto utile nella vita quotidiana, non veniva finemente lavorato con la delicatezza dei disegni che oggi possiamo notare ma, essendo considerato “unu burraciu” ossia, una coperta grossolana, veniva dedicata minore attenzione ai dettagli.
La coperta del pastore, dunque, quella delle famiglie meno agiate. Uno scarto,quasi. La sua utilità, però, era certo ben nota vista la costanza nella sua lavorazione.Con il passare del tempo, data la possibilità di usufruire di materiali più leggeri e comodi, sa burra, compie una trasformazione e le donne di Gadoni, nella cui casa “è un telajo e si lavorano in lino, tele, 

salviette di vario disegno, e cortine; in lana coperte da letto, tappeti da tavola e bisacce, che si smerciano nel campidano” (Angius Casalis), si soffermano sulla accuratezza dei dettagli, iniziano a dare sfogo alla loro abilità, codificano e dando la loro impronta su quello che sarebbe diventato il più rappresentativo e pregiato  prodotto artigianale del piccolo centro barbaricino.

Il processo di lavorazione di questo tappeto segue un iter molto lungo;  nell’antico telaio orizzontale viene disposto un intreccio di fili dell’ordito di lana finemente filati nei quali passeranno i fili della trama, anch’essi di lana, nei quattro colori distintivi: il bianco e il nero, ossia i colori naturali della lana ma anche il giallo, ottenuto dalla dittinella che in gadonese prende il nome di “truiscu” e il bordeaux, ottenuto dalla robia selvatica, chiamata in sardo “urixedda”.La caratteristica principale di questo tappeto è, in assoluto, la possibilità di poterlo utilizzare in entrambi i lati i quali presentano lo stesso identico disegno.

Il lungo lavoro delle donne gadonesi era quello di ricreare uno schema che si potesse ripetere lungo tutto il tappeto: i disegni si susseguono in un ordine preciso fino alla metà esatta per poi proseguire in maniera inversa per ottenere una composizione decorativa speculare. “Sa Burra” può essere suddivisa, idealmente, in diverse parti, all’interno delle quali si eseguono i disegni in maniera definita. “Sa mosta”, ossia il singolo intreccio di trama che da vita al disegno assume diversi nomi a seconda della fantasia delle tessitrici, le quali, immaginavano che quel particolare intreccio potesse raffigurare forme, oggetti o addirittura animali: fatto che compromette, purtroppo, la standardizzazione del nome di ciascuna “mosta”.Un tappeto tipo poteva essere tessuto seguendo questo ordine particolare: come prima “mosta” troviamo “s’orixeddu pranu”, una striscia liscia, senza disegni, di cole rosso e giallo, segue “su ‘nturnu” detto anche “sa mosta ‘e su campalini”; raffigura un piccolo campanile e generalmente lo si trova in nero e giallo.

Ecco di nuovo “su pranu” che fa da contorno ad ogni disegno. Una “mosta”  dal nome particolare è senza dubbio  quella successiva: “s’archixeddu culu acutzu”, di colore nero e giallo; segue “achixedda” (una piccola h) di colore nero e rosso che prende anche il nome di “sa dominedda”.Il posto principale in tutto il tappeto è rappresentato da “sa mosta reale” o “domina”.  Si tratta dell’intreccio più colorato e particolare di tutto il manufatto; già dal nome si può intuire il capolavoro che veniva fuori dalle abili mani delle donne di Gadoni.
Esso è seguito dagli stessi disegni che lo precedono: “s’archixeddu culu acutzu” e “s’achixedda” per terminare con “su pranu”. Il tappeto  continua con “mostas” che prendono il nome di “su campalini cun su pranu a cruxi” o “campalini coiau”, “su pranu a mamasonneddu” e ancora “achixeddas” e “archixeddus” per raggiungere il centro esatto con un altro disegno simbolo: “sa mosta ‘e s’arrengiolu”, di colore giallo e rosso che rappresenta, appunto, dei piccoli ragnetti. Dal centro esatto i disegni si ripetono in maniera esattamente speculare per concludersi con, come si era iniziato, “s’orixeddu pranu” e “is pindulus”, le frange.Le mani ricurve e grinzite, la schiena dolorante e gli occhi stanchi delle anziane signore di Gadoni, che hanno trascorso ore ed ore davanti al telaio, raccontano la vita e la storia di questo paese. In ogni famiglia si lavorava il tappeto tipico e, alcune delle più laboriose e famose per la loro bravura nella tessitura, hanno fatto nascere  dei laboratori  per l’esportazione del nostro più grande patrimonio artigianale. Questo ci permette di farci valere, di poter affermare con certezza la nostra paternità sul tappeto e, se questo non bastasse, abbiamo pur sempre la certificazione con annessa medaglia d’oro dataci in occasione della fiera internazionale di Rimini, negli anni ’70, recante lo stemma della Repubblica italiana
  Federico Melis
 
 
 
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