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Parco
Geominerario:
il
declino del Parco |
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Ed
è proprio da
quest’ultimo
intendimento
che
s’intende
partire.
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Per condividere, o meno, la ragionevolezza. Perché
dopo
vent’anni e
passa di vita
quel Parco,
pur nato con
tanto favore,
non è
riuscita a
raccogliere
molti
consensi.
Portando all’evidenza
quello che
l’esperienza
ha crudelmente
evidenziato,
cioè di esser
stato
concepito
“diversamente
efficiente”
da dei
promotori
inesperti o
svagati. |
Intanto
bisogna
prendere atto
che non è un
Ente Parco, ma
un
“Consorzio
per il
Parco…”,
che è cosa
operativamente
ben diversa,
vista anche la
numerosità
dei
consorziati
(una novantina
fra ministeri,
Regione
Provincie ,
Università,
Comuni e
Associazioni).
Inoltre lo si
è costituito
privo di una
operatività
propria,
limitandolo al
ruolo di
semplice
promotore o
sostenitore di
iniziative
altrui.
Lo
si è anche
definito
“storico e
ambientale”
ma tutta la
storicità
documentale
ed
immobiliare è
in altre mani
( Igea e
Comuni),
mentre
sull’ambiente
non ha alcun
potere
regolatore.
Per dirla più
chiaramente,
è stato
istituito
tradendo
soprattutto i
principi di
quella
“Carta
di Cagliari”
del 1998 che
ne statuiva
l’attività
nelle aree ex
minerarie
per
"tramandare
l’evolversi
degli
avvenimenti
che hanno
segnato la
storia
dell’utilizzo
del territorio
e delle sue
risorse da
parte
dell’uomo”
e per
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tutelare
e valorizzare
con la
fruibilità pubblica
“un patrimonio
immobiliare di
grande valore sotto
il profilo
architettonico e
dell’archeologia
industriale e come
testimonianza di
valore tecnico-
scientifico,
storico-culturale,
artistico e
paesaggistico-ambientale
in contesti di
particolare bellezza
e spettacolarità".
Ecco, se quella
“Carta”, firmata
con la benedizione
dell’UNESCO,
indicava con
chiarezza quella che
avrebbe dovuto
essere la
“mission”
istituzionale del
Parco, la Legge
istitutiva e gli
Statuti con le loro
successive varianti,
ne hanno
completamente
snaturato le
funzioni.
Non
più un Ente
economico per la
tutela e la
valorizzazione di un
grande patrimonio
storico-archeologico
come quello
industriale di uno
dei più importanti
distretti minerari
d’Europa, ma un
semplice bancomat a
disposizione (se non
alla mercè)
dei
possessori di quel
patrimonio.
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Per
ovviarvi si è del
parere che occorra
ripartire
da quei due
verbi – tramandare
e valorizzare – in
modo da ridisegnare
e riordinare la
natura e l’attività
di un Parco delle
aree ex minerarie
che risulti insieme
storico e
ambientale, valori
questi che formano
l’essenza
dell’archeologia.
Si
è infatti
dell’opinione che
sia necessario avere
qui in Sardegna un
Ente gestore che ne
tuteli
e ne
patrimonializzi
i siti ed i
beni ex minerari,
traendone benefici
occupativi ed
economico.
Occorrerebbe quindi
partire da un
riconoscimento
legislativo di cosa
debba essere un
“parco
minerario”, senza
che venga assimilato
agli enti di ricerca
od a parchi
naturalistici, come
è accaduto. Ed a
seguire,
bisognerebbe
affidargli la
titolarità, anche
con comodati a lungo
termine, del
patrimonio da
valorizzare e da
gestire, con
possibilità di
fruizione ai fini
turistici e di
studio. Ci sono
esempi a riguardo in
Europa che indicano
la strada da seguire
per ottenere
risultati assai
positivi, non
dimenticando che,
annualmente,
i parchi minerari,
coordinati in uno
specifico network,
consuntivano circa
tre milioni di
presenze.
In
conclusione, se si
può essere
d’accordo
per un
requiem al
“Consorzio per il
Parco” come oggi,
e da più di
vent’anni, va
vivacchiando in un
costante precariato,
si è ancor più
d’accordo ad un
suo resurgo,
profondamente
modificato nello
statuto e nella sua
mission, in modo che
possa restituire al
paesaggio ed al
patrimonio minerario
dell’isola tutti
quei valori di
attrazione – di
storia locale, di
tecnologia
industriale, di
solidarietà sociale
e di peso
internazionale –
che merita.
Per
questo occorre che
la politica, ad
iniziare da quella
regionale, si
svegli.
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Paolo
Fadda Storico -
esperto di politiche
minerarie,
Presidente dell'Ente
Minerario Sardo Dal
1969 al 1974 |
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